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L'Atelier delle Idee.

Scienza & metodo Biostoria

Scienza & metodo Biostoria
Prof. Antonia Colamonico, epistemologa.

Centro Studi - Acquaviva F. (BA)

Centro Studi - Acquaviva F. (BA)
aula cenacolo

domenica 20 aprile 2008

Organizzazioni biostoriche: i luoghi della Coscienza


di Antonia Colamonico

Il pensiero come organizzazione di spazio-tempo si pone, in chiave biostorica, come un topos, luogo, che si struttura in correlazione ai campi di ragionamento che il soggetto riesce a formare e a organizzare. La capacità ad elaborare un’interiorità, ad esempio, quale spazio di riflessione intorno alla vita, nasce da una topologia di pensiero che si sappia strutturare su più livelli d’osservazione. Non tutti sviluppano gli stessi ambienti di riflessione, per cui non si possono generalizzare i criteri di valutazione e i modi di comprendere la realtà. Esistono differenti tipologie nell’esercitare la propria umanità, in funzione delle linee di sviluppo del proprio pensiero.

I piani di dinamica della mente rendono l’individuo indipendente dalla sua struttura cerebrale, vera e propria, per cui anche se da un punto di vista del funzionamento della struttura del cervello si può parlare di una costante costituzionale, dal punto di vista dell’elaborazione del pensiero ogni uomo si distingue da un altro: in ciò consiste la particolare univocità, che rende ogni persona irripetibile.

Si può parlare di umanità uni-dimensionale, bi-dimensionale, tri-dimensionale e così via, in quanto non tutte le personalità sono organizzate secondo i medesimi luoghi mentali. Importante è comprendere come ogni soggetto uomo sviluppi nel tempo una particolare forma mentis, che si auto-organizza in funzione degli spazi di lettura che il soggetto stesso saprà predisporre e diversificare: in ciò si colloca l’esercizio d’educazione all’osservazione.


Dell’anima, bell’anima, all’anima

di Angelo Rovetta

Solo uomo e donna han sguardo sospeso,

volto all’orizzonte senza vedere:

intuisce pensieri, all’interno,

coglie le nebbie azzurre e bigie

nelle luci perlacee, ambigue

che profilano l’anima.

Non così merlo e gatto e coniglietto,

non così mucca e lupo e capre

e talpe e topini e castori e scoiattoli

e gazzelle e lioni e orsi e draghi infocati;

non così liocorni e ippogrifi e arpie

e mutanti della spaventata fantasia.

Tutti gli animali veri e falsi han sguardi attenti e apprensivi

a osservar l’orizzonte intorno intorno,

o, ben pasciuti, volgon pigro occhio

torvo, opaco d’indifferenza e di sonno.

Solo tu sai sospendere lo sguardo,

né attento all’ambiente,

né intento a dire,

mentre contempli il tuo paesaggio interiore,

e fluttuan le parole nel silenzio,

anima mia.

L’autore pone il piano dell’anima, come il luogo privilegiato della coscienza che nasce dalla capacità a guardare in alto, al di là del campo vitale che imbriglia nelle faccende quotidiane. Nell’azione d’elevare lo sguardo al non visibile, la coscienza impara a osservare un paesaggio interiore, colmo di silenzi pieni di significati universali.

Imparare a spiccare il volo verso uno spazio aperto, non definito, diviene uno dei traguardi per la realizzazione di un pensiero a campo profondo. Si può definire questo spazio pluridimensionale la grande scoperta dell’umanità che gli permette di agire dinamicamente nella storia, elaborando e trasformando la realtà.

La capacità a diversificate le posizioni di lettura è la grande conquista della specie umana che gli ha dilatato la mente ad una molteplicità di spazi-luoghi di memoria. Ogni luogo imprime un suo particolare significato e sono questi che rendono i piani di scelta delle azioni, complessi. Ogni azione è annodata in una scala di valore che vincola i suoi effetti ad una particolare apertura di linea-direzione di futuro. I vincoli rendono coerenti le azioni, poiché ognuna nasce da un significato-valore che impone il livello di scelta.

Naturalmente importante è saper leggere le corrispondenze tra scale di valore e luoghi mentali, per comprendere i significati storici delle azioni. Spesso l’errore che si fa ad esempio nella comunicazione è quello d’identificare la struttura mentale di chi parla, l’emittente, con quella di chi ascolta, il destinatario, prescindendo dalle particolari geografie mentali. Si pensi ai livelli di incomprensione tra genitori e figli o insegnanti e alunni, datori di lavoro e impiegati e operai…

Necessita per questo fare un esercizio di lettura diversificata intorno agli eventi e alle comunicazioni. La conflittualità secondo un’ecologia della mente, nasce da una incapacità a comprendere i piani mentali degli altri.

La capacità ad immedesimarsi in chi parla, nasce dal saper leggere le differenze di creste-nicchie mentali. In tale prospettiva la Palestra della mente, si pone come il luogo privilegiato dell’esercizio di miglioramento delle capacità a relazionarsi con la vita, con gli altri e con se stessi.

Il malessere vitale, come insoddisfazione che rende la società odierna inquieta e scontenta, nonostante le sacche di benessere, nasce dall’aver sottovalutato il ruolo storico della coscienza, vista erroneamente nel passato come una sovrastruttura che ingabbiava l’individuo in una morale di facciata e di perbenismo.

La coscienza in chiave biostorica è la capacità dialogica che nasce all’interno dell’individuo e gli fa assumere una pluralità di posizioni di lettura della realtà. Più complessa sarà la sua coscienza e più chiara sarà la sua azione storica; più diversificata sarà la sua geografia mentale e più grande sarà la sua capacità di comprensione del significato della vita. Sono proprio i significati, come gradi di valore, che rendono l’uomo protagonista o antagonista della scena storica. I due ruoli generano due dinamiche storiche differenti che implementano le quantità/qualità di vita/morte.

Ogni scelta d’azione imprime una curvatura alla cresta biostorica, che allontana o avvicina i campi di benessere/malessere.

domenica 13 aprile 2008

L’esercizio

di Antonia Colamonico

(da Ed altro in Le stagioni delle Parole. 1994)

L’osservatore prenda tre fili. Uno grigio per il passato, uno giallo per il presente, uno verde per il futuro e seguendo i tre piani della coscienza, fatti di ricordi, di realtà e di sogni, annodi un passato grigio a un futuro verde, per poi calarsi nel presente giallo. Partire di nuovo. Ancora un passato e un altro ancora, poi un futuro vicino, uno lontano. Un passato, un altro ancora e poi tornare nel presente. Un grigio, un giallo, ancora un grigio, un verde, un altro ancora, un grigio, un giallo, un verde, un verde...

Annodando e lasciando, l’idea viaggerà nella mente, elaborando una rete tridimensionale che via, via acquisterà spessore, rivelando la profondità dello stesso osservatore.

Consigli per la lettura:

  • Se la quantità gialla supera le altre due, si è presumibilmente un soggetto pescecane, in carriera, attento a non sprecare le occasioni, in grado di autoassolversi.
  • Se quella grigia ha la vittoria si è un soggetto gambero, trascorsa carriera, attento a non sprecarsi in occasioni, in grado di piangere su una spalla amica.
  • Se predomina il verde, allora, si è decisamente un soggetto anguilla, di incerta carriera, sempre pronto a sprecarsi in ipotesi di occasioni, in grado di giustificare, offrendo una spalla per amica.

Si avverte l’osservatore che qualora il risultato dell’esercizio non fosse di suo gradimento, può cancellarsi tutto ed incominciare a costruire una nuova identità.


sabato 5 aprile 2008

IL NODO


di Antonia Colamonico

(da Ed altro in Le stagioni delle Parole. 1994)

Si incontrarono per caso.

Quanti incontri sono dovuti al caso, quel caso che ti porta ad essere lì in quel secondo, proprio quello, e in quel lì e non un altro, perché è quello l’incontro. Quante volte, quel caso, seguendo il suo disegno che non è il mio e non è il tuo, entra con determinazione a slegare o ad annodare noi che andiamo lungo sentieri ed autostrade, con salite e con discese, nelle intemperie e nei sereni.

Si incontrarono per caso, una sera di novembre nella sala di un albergo di riviera. Fuori il vento, confondendo mare e cielo, polverizzava gli spruzzi dolciastri che infangavano gli abiti dei passanti e il bianco del viale.

I loro occhi per un po’ si studiarono e subito si scartarono. Lui continuò ad annotare sulla agenda tutti gli impegni della settimana, con la stessa attenzione con cui, poco prima, aveva finito di sistemare gli appunti della relazione, quella che l’indomani avrebbe esposto a quegli esperti di settore. Amava l’ordine discreto del tempo che corre lungo il suo binario, senza mai alterare la sua velocità. Amava la ripetitività delle azioni che si inanellano le une alle altre con un non so che di languido e di fatale. Nel suo chiamare con il lapis secondi, azioni, luoghi ed emozioni giocava a sistemare il puzzle della vita e alla fine di ogni giorno, con un velo di piacere, sottolineava il secondo, l’azione, il luogo, l’emozione che si erano puntualmente compiuti, avverando i suoi programmi. Lei rientro nel suo sogno che andava veloce, per poi decelerare, quasi a fermarsi e, con una rapida inversione, cambiare direzione. Era stato quel sogno che l’aveva spinta, fuori stagione, su quella spiaggia. Amava gli spazi che ora allargandosi e ora restringendosi, si intersecano in fotogrammi disordinati, miscelati dallo zoom del suo occhio. Amava i colori che danno forma alle cose e si incantava dietro un rosa, un blu, un giallo, un verde, un viola. Nel suo vagare di spazio in spazio, giocava a perdersi in un secondo, in un’azione, in un luogo, in un’emozione. Le sue giornate non avevano una cronologia, al lunedì seguiva un giovedì e a questo una domenica o, forse, un martedì. Il suo tempo non era segnato dal quadrante di un orologio, a cui aveva rinunciato sin da bambina. Continuarono a dimenticarsi per tutto il resto della serata, quando a cena si ritrovarono seduti alla stessa tavola, senza dirsi una parola, quando al bar ordinarono un caffè. Quando, dopo, in poltrona lei rideva sulla vita; mentre lui discuteva dello stallo finanziario.

L’indomani un sole sfacciato fece capolino da dietro l’ultima onda e con il suo calore prosciugò il giallognolo delle pozzanghere.

Lei entrò nell’ingranaggio di quel tempo a colazione, quando lui notò il colore del suo corpo che, in punta di piedi, cercava di non destare le lastre del pavimento, egli ebbe voglia di chiudere in uno scrigno quel frammento di visione.

Lui invase quel campo, durante la relazione, quando lei, distrattamente, sentì il costante affluire delle sue parole ed ebbe voglia che quella ninna nanna non si fermasse più.

Lui fermo nel grigio di quegli occhi, percepì la poesia di tale insieme.

Lei capì di essere la destinataria di tutti quei bilanci, conti e proiezioni che si coloravano di marroni, i suoi occhi; di dolcezza, la sua bocca; di calore, la sua spalla.

Il caso dall’alto aveva da tempo plasmato quelle inconsapevoli esistenze, per farne un nodo stretto, stretto.

giovedì 3 aprile 2008

Il pensiero creativo e il ruolo del futuro nella dinamica bioStorica:Restaurazione e Risorgimenti

di Antonia Colamonico


(In Pianetascuola, n° 3, lug.-sett. pp. 3-6, Ed. IRFOS – Bari. 2005.)

La tragica spirale di azioni violente, non ultimi gli attentati di Londra e di Sharm el Sheik, sta mostrando l’altra faccia della Globalizzazione: all’unificazione dei mercati, delle procedure, delle mode, delle tecnologie, procede di pari passo l’unificazione sia delle mafie nazionali, che tendono ad internazionalizzarsi nei vari traffici clandestini, sia delle forme violente di opposizione alle classi dirigenziali, più o meno, democratiche. Si direbbe che si siano messe in atto due forze contrarie che in nome della Globalizzazione tendano a farsi fuori, vicendevolmente:

  • Da un lato lo Stato di diritto che in nome della legalità, tende a mettere ordine nella complessità del nuovo sistema mondiale e, dall’altro lato, il dominio di ristretti nuclei delinquenziali organizzati, fortemente aggressivi, che tendono a universalizzare l’illegalità.
  • Da un lato i Governi che tendono ad accelerare il cambiamento delle economie nazionali e dall’altro le ataviche supremazie baronali, non importa se religiose o economiche o culturali, che tendono a bloccare il cambiamento, in nome di una roccificata tradizione.

Certo chi credeva che con la Globalizzazione si sarebbero eliminate le contraddizioni o meglio estirpate le grettezze locali, ha peccato di superficialità. Ascoltando un qual si voglia telegiornale, si ha la sensazione di una follia collettiva che sta, di fatto, minando le basi della convivenza civile e, in tale stato d’insicurezza, si fanno spazio gli echi di catastrofi bibliche, di novelli periodi bui che sembrano appressarsi alle porte della Storia.

Riflettendo sul Presente, emerge una grave crisi di giudizio: si è creduto possibile poter gestire la complessità di una Società a struttura Mondo, con i vecchi paradigmi delle società nazionali.

Per comprendere il grave errore paradigmatico, bisogna addentrarsi, ad esempio, nelle politiche messe in atto nell’Ottocento per comprendere che nazionalità e universalità non sono solamente semplici parole, ma bensì due modi differenti di vedere e di valutare. Se dico la Nazione italiana, implicitamente, associo a tale nozione un insieme di aree geografiche, di modi di vita, di idee e luoghi comuni, ecc. che, restando stabili nel tempo, tendono a creare un modello unico di società. A partire, infatti, dal 1861 l’Italia si identificava in uno Stato isola, cioè uno stato circoscritto da un confine-frontiera che ne garantiva un grado elevato di autonomia; certo c’erano stati dei sistemi di alleanze commerciali e politiche, ma la sovranità era nello stesso Stato italiano che proponeva in modo più o meno democratico le linee di futuro, alle quali erano indirizzate le procedure giuridiche, economiche ed educative.

  • Ma cosa è cambiato oggi?

Lo Stato italiano è sovrano per un terzo: c’è stata un’emorragia di poteri verso le autonomie regionali e verso la Comunità europea. Le tre differenti realtà istituzionali non sempre remano nella stessa direzione e ciò crea degli stalli organizzativi, dei ritardi burocratici, dei conflitti di potere che ricadono sul malgoverno della stessa Italia. La crisi in atto è sempre più complessa e non può essere letta con i semplici occhiali ottocenteschi del dualismo destra/sinistra.

Si direbbe, poi, che la stessa Europa stia nascendo/morendo insieme, come un bambino, nato vecchio. Nasce come realtà politica e muore come realtà socio-economica: si pensi ai flussi migratori extra-europei, all’affacciarsi delle neoeconomie asiatiche.

Le stesse carte di lettura degli scenari mondiali si stanno lacerando e in tale sconvolgimento le tradizionali logiche interpretative dei fenomeni si fanno stridenti. Si direbbe quasi che, come sostiene E. Morin, la Cultura Meccanicistica che fa da sfondo alla Società Industriale, sia giunta al capolinea.

Il capolinea è il luogo dove, nel viaggio, termina la strada ferrata e si apre la piazza; termina la certezza rilassante del binario e si apre l’incertezza dello spazio aperto.

  • A chi non è capitato di giungere al terminale di una stazione e aver percepito mescolarsi alla gioia dell’approdo una sottile trama, fatta di dolore/ansia che fa esitare, circa il dove andare?

È in questo stato d’insicurezza, fatto di linee di Passato e linee di Futuro, le quali si annodano e si distanziano, che si rigenerano le restaurazioni e i risorgimenti di ogni Epoca.

Cercando di superare una logica oppositiva, lineare e sequenziale, che tende a ridurre gli spazi di significati, isolando le parole, come tante realtà distinte, si può guardare a queste due diversità, restaurazione/risorgimento, come ad un unico processo che in simultaneità, si afferma e auto-delimita.

Leggendo con un occhio eco-biostorico, il restaurare implica, portare in luce quello che ormai si è offuscato o invecchiato, per il passare inesorabile del tempo.

Il tempo come quarta dimensione dello spazio, incide sui campi di realtà, deformandoli per effetto della dinamica perturbativa dei quanti storici.

La restaurazione necessita, ogni qual volta si vuol porre un argine o un freno all’azione entropica del divenire storico. Il divenire come dimensione di futuro, implica un campo aperto, cioè un’organizzazione che implicitamente contiene delle aree di non prevedibilità o meglio di non governabilità: per quanto si possano elaborare ed intrecciare le linee di futuro, c’è sempre una maglia che sfugge, che crea una falla nel sistema di previsioni e rende precarie le mappe di lettura, sin lì elaborate.

Dopo l’Imperio napoleonico, infatti, si avvertì il bisogno di una restaurazione, non solo per riproporre gli antichi privilegi, ma essenzialmente per imparare a leggere il nuovo che era emerso, dietro gli eserciti francesi. Nuovo che aveva sconcertato gli stessi rivoluzionari che si erano sentiti spaesati, di fronte a quello spazio aperto di mercatura e di legislatura. Ma, legittimata la Restaurazione con il Congresso di Vienna (1814-’15) ed avviata la lettura del nuovo, automaticamente si innescarono i Risorgimenti: questi vanno interpretati come la conseguenza naturale di quella riorganizzazione storica che fece prendere posizione, alle nuove generazioni dell’epoca, di fronte al divenire della Storia.

Riflettendo meglio, il prendere posizione in favore delle linee di futuro, procede di pari passo con la capacità di lettura: più chiara è la lettura della complessità della vita e più facile è prendere una posizione in funzione del mutamento; viceversa meno chiara è la lettura del nuovo, è più difficile diviene, quindi, liberarsi del passato.

Il non essere in grado di attuare una revisione del proprio pensiero, dà luogo alle dittature e alle supremazie che fanno da sfondo ad ogni economia e società.

Importante è accettare che in ogni sistema politico-economico c’è un grado più o meno grande di tirannia/libertà, grado che procede in relazione alle capacità più o meno grandi di lettura del divenire storico.

Leggendo in tale ottica la realtà storica, si evince che i Regimi conservatori e reazionari, sono in uno stato di crisi di lettura della nuova realtà storica, a struttura globale. Stato di ignoranza che li porta a mettere in atto una serie di azioni, anche violente, per bloccare il movimento della Vita.

  • Ma il processo storico si fa inesorabile, nel suo procedere verso il futuro!

  • Anzi, più feroce è la repressione, più facile diviene la presa di posizione a favore del cambiamento!

Se da tale bivalenza, restaurazione/risorgimento, non è dato uscire, allora c’è da chiedersi:

  • Come rispondere in modo più funzionale alla vita, personale e collettiva?
  • Come rendere meno stridente l’azione del cambiamento?

La risposta è data in parte degli studi sulle bio-scienze e in parte da quelli sulle neuro-scienze, che stanno ponendo da una lato il concetto di bio-informazione, e dall’altro quello di lateralizzazione del cervello.

Leggere la dialogica della Vita in termini di bio-informazione implica inserire, nella dinamica relazionale individuo-campo, la presenza di uno scambio informativo che vincola, modellandoli, i processi evolutivi di entrambi. Se il passaggio d’informazione è alla base del divenire storico, ciò significa che nell’Azione del Comunicare si genera nell’individuo-campo uno stato bivalente di disordine/ordine, come una alternanza di stadi di de-strutturazione/ri-strutturazione, in funzione delle perturbazioni quantiche.

Se, inoltre, la lateralizzazione del cervello è una delle maggiori conquiste evolutive della specie umana, essa implica che la mente umana può assumere una bivalenza di tendenza che lo porta a riflettere sulle azioni e nel contempo ad agire, attraverso una fitta rete di cellule neuronali che comunicano tra loro, tramite un elevatissimo numero di sinapsi cioè di connessioni inter-neuronali. In questo gioco informativo si può parlare di pensiero critico e pensiero creativo che svolgono le funzioni di meta-cognizione e di cognizione che portano: il primo, a riflettere e a giustificare quanto è stato codificato o appreso; il secondo, ad aprirsi all’azione, inventando le nuove linee evolutive degli stessi apprendimenti. In tale gioco di riflessione/azione l’uomo entra da Protagonista, come secondo giocatore, nella dinamica del divenire storico.

Il riflettere e l’agire a loro volta entrano in relazione con la percezione dell’andatura del Tempo.

In un sistema lento il tempo della riflessione sarà più ampio, in un sistema veloce, invece, esso si restringerà, poiché le risposte storiche alla vita si amplificheranno, per effetto dell’accelerazione nel processo perturbativo dei quanti d’evento.

Per essere più chiari, in una Società ad Isola le variazioni storiche saranno contenute e limitate, quindi le letture più semplici e convenzionali. Viceversa in una Società ad Arcipelago, le azioni perturbative saranno amplificate, essendo nel contempo più grande e più diversificato il campo di azione. Qui le letture saranno molteplici e, a volte, anche contrastanti. Ne consegue che, se in un sistema lento potrà essere privilegiato il pensiero critico, che frena l’azione, non essendoci necessità di azioni, in uno veloce, si dovrà, necessariamente, potenziare il pensiero creativo, che, aprendo a soluzioni inusitate, è più funzionale al dinamismo del Campo.

Osservando lo scontro in atto, dietro al processo di Globalizzazione, si può affermare che questa conflittualità ha basi essenzialmente cognitive, più che ideologiche o economiche o giuridiche, in quanto le carte di lettura utilizzate nella gestione-ideazione degli eventi sono mutate. Ed è proprio tale cambiamento a creare le incomprensioni tra chi è attrezzato mentalmente al nuovo e chi è prigioniero nelle tradizionali letture, obsolete e a-storiche.

Necessita, quanto prima, da parte di tutta quanta la leadership mondiale, un Salto di Paradigma che porti a privilegiare il pensiero creativo. Salto che purtroppo non tutti compiono nello stesso momento: il tempo gioca un ruolo importante nella costruzione delle bio-diversità.

Il tempo agisce, poi, in relazione agli stati mentali e culturali. Ad esempio si è studiato che il salto paradigmatico implica uno stato iniziale di sofferenza, per cui è dal dolore che si è spinti a cambiare il modo di vedere, non è un caso che il Sistema Informatico si sia impiantato immediatamente dopo la Crisi Petrolifera, seguita alla Guerra del Kippur (1973).

Per essere più chiari, il salto di paradigma si attua quando la parola si apre ad un nuovo senso-direzione (= significato).

L’incomprensione tra gli Stati, le Società, gli individui, nasce, quando non si accetta la plasticità della parola, quando si tende a chiudere-circoscrivere e assolutizzare la parola all’interno di un unico contesto e questo porta a non comprendere la stessa parola, se usata in un contesto nuovo.

Da un punto di vista eco-biostorico, la plasticità della parola implica la plasticità del pensiero e quella dello sguardo-lente con cui si osserva.

La plasticità è legata ad un abito mentale che fa essere osservatore-ricercatore di significato-valore e non solo custode-garante di significato-valore. Per essere più precisi, nella comunicazione si giocano rapporti di potere che vengono di fatto attribuiti alle stesse parole: chi non ricorda, negli anni ’70, le logorroiche discussioni se era più esatto chiamare Mazzini un democratico o un moderato? Secondo i marxisti era un moderato, secondo i democristiani un rivoluzionario!

Il ricercatore non tende a cristallizzare il significato delle parole, egli sa che il senso-direzione è relativo al contesto di osservazione e se cambia, anche di una virgola, il contesto, automaticamente la parola assume una sfumatura nuova, più consona al nuovo campo di lettura.

Accettare ciò non equivale ad aprirsi al relativismo.

È bene precisare che relatività e relativismo sono due significati contrari: il primo si pone in senso positivo e il secondo, negativo. La differenza si gioca sulle conseguenze eco-biostoriche legate alle due visualizzazioni:

Se è relativo, implica un contesto circoscritto che dà il senso-direzione e, nell’indirizzare, pone un vincolo testuale alla parola.

Se invece è relativismo, non si accetta il vincolo-limite tra parola-contesto e facendo così, il significato viene, indifferentemente, trasferito in più contesti. Ma ciò svuota la parola di senso-direzione. Ad esempio, se è vera l’affermare “Essere donna è bello!” in Francia, non lo è, altrettanto, in Cina, Stato in cui, per la politica del controllo delle nascite, ci sono stati molti casi di infanticidi di bambine, per il desiderio delle coppie di avere il figlio maschio.

  • Da un punto di vista biostorico, la parola entra nella costruzione della Storia, in quanto indirizza le linee di futuro, edificando i piani di Realtà.

La difficoltà alla base delle incomprensioni, in genere, è che gli stati mentali-culturali sono diversificati. Per economia di spesa, infatti, si tende a chiudere la parola nel contesto usuale; ciò di fatto è, negare l’apprendimento, visto come un imparare ad aprirsi ai significati nuovi. In questo chiudersi, si smette di dialogare e, una volta consolidato il significato, si tende ad associare alla parola uno stato di potere. Ad esempio Aristotele è stato un grande, oggi si direbbe un creativo o, usando il de Bono, una corrente di idee, ma non si può dire altrettanto della Scuola Aristotelica, che tendeva a bocciare tutto il nuovo che stava emergendo nei secoli seguenti, cristallizzando la terminologia aristotelica. Dove l’inghippo? Nello Stato di Potere: essa aveva negato la possibilità di altri contesti-osservazioni-evoluzioni, cioè aveva negato la bio-diversità, affermando la Supremazia Aristotelica.

Spogliarsi dello stato di potere è difficile, in quanto ad esso è legato anche un discorso di gestione del flusso di moneta; ma lo Stato di Potere, quando lo si afferma, implica tacitamente il superamento dell’Idea. Affermare, perciò, il potere di una Cosca mafiosa o di una Elite religiosa o economica, significa, automaticamente, porre ad essi un confine che li chiude-circoscrive in uno spazio di azione-consenso limitato. Ma osservando bene, nel chiuderli, di fatto, si apre un altro spazio di Realtà, che va oltre la linea del confine e che si pone come un Novello Risorgimento di libertà, idealità e legalità.

Nella consapevolezza di tale procedere della Vita, nasce la certezza che si può essere più forti delle supremazie, dei soprusi e delle ingiustizie e degli attentati di ogni Epoca. Solo velleitariamente si può credere di fermare il divenire della Storia. Divenire che, aprendosi all’alea del non-atteso, del non-previsto, è democrazia, in quanto porta l’Individuo (sia esso cellula o molecola o nube o foglia o uomo) a distinguersi dal Campo, emancipandosi da esso. In tale processo d’emancipazione, si costruisce la storicità dell’Individuo, che gli fa assumere una posizione nello Spazio del Universo Storico, consumando il Tempo.

San Francesco, apostolo del dialogo cristiano-mussulmano, ha dato un esempio-indirizzo d’azione: inseguire il processo di futurizzazione della Storia, spogliandosi mentalmente dal bisogno di potere. Certo non è facile, ma solo l’umiltà fa essere uomini nuovi!

Si potrà progettare il futuro, assumendo un abito mentale nuovo, ma sia chiaro non con l’intendo di sostituirsi al potere consolidato e cattedratico, ma per non perdere la plasticità della propria mente-azione; per non smettere di ascoltare, di comprendere, di immedesimarsi nel Campo, di aprirsi alle incognite del domani e di commuoversi alla Vita. Non dovrà essere lo sguardo indirizzato al dominio, ma all’apostolato, alla gioia del condividere gli “appresi”, del dividere insieme il pane della Conoscenza. In questo, dividere insieme, si attua il Salto Cognitivo che apre alla Società della Conoscenza, poiché nel dividere si svolge il doppio ruolo-funzione di emittente/destinatario, che fa affermare/ascoltare, riaffermare/riascoltare… secondo la dialogica della Vita, dialogica che permetterà di restare nella Storia.


Il Filo S.r.l. - Palestre della Mente -

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la bellezza dell'Umanità

Perugia, Agosto 2008