(A Colamonico, da Ed Altro, in Le stagioni delle parole. Bari, 1994)
Tutto era accaduto in fretta; la telefonata, la prenotazione, il lungo viaggio, l’arrivo, il freddo intenso e quella nebbiolina che portava istintivamente a stringere gli occhi. Inizialmente Anna non si era resa conto di quanto stesse cambiando la sua vita, era troppo presa dalle azioni che si susseguivano con un ritmo sempre più incalzante.
Erano azioni semplici, direi quasi banali e nessuno crede che dalle banalità possano nascere i mutamenti. La banalità del mangiare con gusto una mela o di colorare di rosso le labbra o di seguire le grigie evoluzioni del fumo di una sigaretta ed invece proprio da azioni minime possono nascere le svolte che lasceranno il segno nella storia.
Correndo dietro le sue azioni Anna, inavvertitamente, era entrata in un’altra dimensione. Aveva lasciato il colore, le risate, il chiasso, il disordine, il nido ed il volto ironico e canzonatore che da sempre conosceva nei dettagli di un sopracciglio o di una piega all’angolo destro della bocca. Senza scordare l’occhio sinistro di un azzurro che faceva pensare all’infinito.
Quel occhio lo aveva incontrato una mattina di maggio, andando a scuola e si era sentita spiata da quel insieme di profondità e di impertinenza che sembrava non fermarsi più nello scandagliare in profondità.
Anna era seduta su quella struttura di acciaio e plastica che al neon, veloce, fendeva il buio della galleria. All’improvviso percepì che tutto era mutato.
Erano finite le risate, i colori, il chiasso ed anche il volto amato che si stava scolorando nel riflesso di un vetro appannato. Percepì come un vapore entrare in lei e per effetto del calore si stava sollevando, piano, piano, come sospesa a mezz’aria da una gioia che le esplodeva, dandole un gusto di spazio diverso, mai prima percepito. In quel suo nuovo volume tutte le sue certezze stavano cambiando ubicazione.
Il rosso era di un blu intenso, il verde di un giallo sole e l’occhio sinistro era al posto di quello destro.