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L'Atelier delle Idee.

Scienza & metodo Biostoria

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Prof. Antonia Colamonico, epistemologa.

Centro Studi - Acquaviva F. (BA)

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aula cenacolo

venerdì 16 aprile 2010

La geografia di un pensiero lineare-sequenziale.


PDF - Antonia Colamonico. Costellazioni di significati per una topologia del pensiero complesso. Il Filo, 2006.


Limiti di un'organizzazione di pensiero lineare - L’occhio-mente uni-dimensionale



Un pensiero uni-dimensionale costruisce le gabbie io e tu, tipiche di un'organizzazione mentis, inconsapevolmente, malata, poiché crea le separazioni di status-valore attraverso le generalizzazioni concettuali che rendono "ferma" la vita.

Il generalizzare la realtà implica che essa, una volta appresa, non sia più osservata per quello che si mostra nel divenire della storia, in quanto ritenuta un già posseduta, un già esplorata, un già conosciuta. In tale fase si smette d'apprendere e si costruiscono le forme astratte d’identità: i pregiudizi.

In tale prospettiva la visione ha lo sguardo rivolto al passato, in quanto costruiti i fotogrammi io e tu, come delle carte definitive di realtà, si fermano nel tempo [Colamonico, A. 2005 (b)]. Tali letture sono univoche, astratte, assolute, tipiche di una mente immatura, pigra che non vuol crescere e sviluppa un'unica mappa ideativa delle relazioni dialogiche che applica, a casaccio, su tutte le nuove dinamiche storiche.

Da tale tipologia nascono le affermazioni: i neri sono sporchi; le donne sono irrazionali; gli uomini sono cacciatori; i musulmani sono terroristi; la destra è fascista; la sinistra è comunista; i cristiani e gli ebrei sono infedeli. In tali affermazioni si costruisce il preconcetto, come costruzione di una presa di posizione storica che avviene prima della stessa comunicazione. Nel preconcetto si annulla la capacità dell’ascolto, in quanto la stessa idea, già costruita, diviene l’elemento di disturbo nella comunicazione.

Essendo l’idea formata, in modo definitivo, non si presta ad essere deformata. Da tali modi nascono le incomprensioni di linguaggio, per cui la stessa parola usata con un contesto differente, non si modella alla nuova nicchia di significato e crea lo scandalo concettuale, tipico di alcuni docenti o accademici che non tollerano le libertà espressive dei ragazzi e finiscono con l’aggredire per il linguaggio improprio. Ma a guardar bene quella forma impropria è semplicemente una sfumatura nuova di significato che ha allargato la parola come il fiocco di neve. In biostoria ho elaborato la metafora del guanto-parola. È bene sottolineare che si sta parlando d’improprio e non di errore. Mi è capitato di recente di avere avuto un diverbio con un accademico sul termine gente che personalmente avevo usato nel modo di San Paolo e lui mi ha bocciata perché privo di significato sociologico. La sua rigidità semantica mi ha rivelato la sua malattia mentale!

La negatività di una tale lettura della storia nasce da una difficoltà cognitiva [Colamonico, A. 2005 (a)] del soggetto lettore-osservatore che non sa e non vuole modificare il punto di vista, implementando in lui la cristallizzazione di una sola idea-emozione, che si fa ossessione.

È quello avvitarsi, precedentemente analizzato, intorno ad un io-tu astratto che finisce col far invecchiare la mente dell’emittente per asfissia informativa e annoiare il destinatario per la ripetitività espositiva, perpetuata all’infinito. Questo ad esempio genera gli stati di insofferenza di fronte a delle lezioni scolastiche, a dei discorsi politici, a delle prediche domenicali. La noia è il segno della perdita di significato. È il primo passo verso la scomposizione dell’io.

Il considerare la realtà come un dato di fatto ormai concluso, porta a irrigidire il pensiero e di riflesso il campo intorno: sono da tali abitudini consolidate che nascono le crisi relazionali. Molti rapporti di coppia sono strutturati su tale monotonia che fa smettere di vedere l’altro come un soggetto vitale e nuovo alla vita.

Molti rapporti docente-alunni sono impiantati su tale visione che porta, una volta definito il voto, a confermarlo per tutto il ciclo di studi. Come pure alcuni rapporti genitori-figli, in cui si è soliti dire tu sei come tua madre, o viceversa come tuo padre, estendendo la lettura del partner, al figlio.

Da tali legami nascono le lacerazioni pirandelliane che dato l’abito, si impedisce all’altro di crescere. Nelle dinamiche mentali e storiche così organizzate si vanno ad avvallare le dittature, viste come rapporti basati sull’autoritarismo e non sull’autorevolezza dei legami democratici.

È importante riflettere sulla mente rigida del dittatore che per compiere le sue follie, ha bisogno di consenso. In ogni dittatura si creano, così, delle gerarchie di potere che si auto-alimentano intorno alle diverse forme di censura delle azioni e del pensiero; si pensi alla creazione degli indici dei libri, alla messa al bando delle parole, delle associazioni politico-sindacali, delle canzoni, dei colori, dei capelli, degli occhi, ecc.

Le dittature nascono, in ognuno di noi, ogni qual volta smettiamo di guardare l’altro e gli costruiamo un’etichetta di valore che resta ferma nel tempo. Essendo la classificazione-etichetta il campo del pregiudizio che fa agire in modo automatico, massificando le tipologie di risposte agli eventi.

La standardizzazione delle risposte storiche rende prevedibile il futuro. In tale rendere massa si costruisce il conformismo che favorisce il diffondersi delle varie forme di razzismo e l’attuazione delle pulizie etniche.

La mente uni-dimensionale è più facile da asservire, da assoggettare, per questo ricercata e rigenerata con politiche scolastiche basate sull’asserzione e il culto del passato, dalle varie forme, dichiarate e no, di potere assoluto. Potere che, per salvaguardasi, cerca di fermare il divenire della storia in un’idea assurda di passato.

È il passato che assume lo stato di realtà e non il presente. In ciò consiste l’ignominia. Bellissima quella affermazione di C. M. Cipolla [1974] – Il passato è morto! O quella del Cristo che sostiene: - lasciate che i morti, seppelliscano i morti. Ogni dittatura è amante della morte e nemica della vita.

L’effetto delle azioni assolutiste è sempre lo stesso, siano esse gerarchie religiose che tendono a trasformare i credenti in osservanti, elaborando gabbie su gabbie di catechismi per imporre dal di fuori, l’etica della vita. Siano gerarchie di lavoro in cui, nelle dinamiche gruppali, è premiato il soggetto convergente, rispetto a quello divergente; il ripetitivo, rispetto al creativo che sconvolge le comodità degli schemi mentali [Goleman, D. Ray, M. Kaufman, P. 2001]. Siano esse le logiche familiari, in cui uno dei genitori o il figlio maggiore o il capo clan si impone come un padre-padrone, fratello-padrone: è più bello essere tutti avvitati intorno alla stessa idea, magari quella del capo, piuttosto che sviluppare tanti punti di vista differenti, intorno alle cose. La democrazia implica impegno.

Da tali logiche profondamente esclusive, ad esempio, è nata la crisi dei Partiti in Italia negli anni ‘80, quando essi si sono involuti in partitocrazie, in cui non si accettavano più le visioni divergenti, sia per l’economia di spartizione delle monete-poltrone e sia per la paura di perdere gli stati di potere clientelare. Crisi che ha innescato una povertà di salto generazionale, in quanto, non accettandosi le divergenze di idee, i giovani hanno finito con l’estraniarsi dalla scena politica. Ancora oggi ne paghiamo il prezzo, quando i ragazzi, ridono della politica, definendola cosa da vecchi e non sono in grado di elaborare la nuova politica.

Esiste, infine, un’altra forma di dittatura quella contro sé stessi, in cui si è portati a chiudersi in un’idea del sé, magari negativa che va a rafforzare lo stato d’inadeguatezza dell’io. Si pensi alle volte in cui si dice: non sono bravo. La matematica non la capisco. Non so amare. Sbaglio tutto nella mia vita. Sono un fallito. Tali affermazioni nascono da una visione statica dell’io, come incapacità a leggere e a adeguare l’idea del sé nel tempo, come quando guardandosi allo specchio si scoprono le prime rughe che spaventano e si vorrebbe fermare il tempo ad una immagine di giovinezza perduta.

In tale gabbia si dimentica che la dinamica della vita ha un andamento fluttuante verso il futuro, con alti e bassi, in cui il soggetto attore con la sua intelligenza e il suo impegno, può invertire e ritardare una tendenza negativa. L’impegno presuppone l’assunzione del ruolo e del rischio storico di vivente, come colui che vive in un tempo-spazio e compiendo azioni risponde agli eventi. La risposta apre alle logiche del campo che arricchiscono di significato la vita.

Il procedere nel tempo è l’accumulo della ricchezza dell’io, per cui ogni età ha il suo grado di bellezza, se ciò non si comprende allora si interviene con un bisturi sulla piega della bocca o sull’arcata del sopracciglio o sulla rotondità della gota, deformando in una maschera, la bellezza di un volto ricco di pieghe di saggezza.

Imparare a vedere nella vecchiaia la bellezza è il salto di tendenza che si dovrà compiere nella società dell’immagine corporea. Esiste il corpo, come il fuori di sé ed esiste la coscienza come il dentro di sé e tra i due ci dovrà essere dialogo. Più sarà viva la dialogica e più la bellezza trasparirà.

Essere se stessi è il compito storico in una prospettiva eco-biostorica; esserlo implica una scelta di valore e, da tale azione del prediligere, si aprirà la cresta di futuro personale e per riflesso sociale.

http://occhiobiostorico.blogspot.com/2010/04/pdf-antonia-colamonico.html

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Perugia, Agosto 2008