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Scienza & metodo Biostoria

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Prof. Antonia Colamonico, epistemologa.

Centro Studi - Acquaviva F. (BA)

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aula cenacolo

venerdì 16 gennaio 2009

Alla Palestra della Mente: L’ambiguità di Abramo



da A Colamonico.

Costellazioni di significati per una topologia del pensiero complesso.

Bari, 2007


… Abramo incarna la dimensione umana del vivere in ascolto della voce di Dio, indipendentemente se si creda o no in una tale identità, Abramo rappresenta quella capacità della mente umana di saper affrontare una vita aperta alle incognite del domani. Proprio nel suo essere sotto la tenda, egli insegna lo status mentale dell’essere sempre pronto a partire, a rimettere in discussione le certezze e gli stati di potere e di ricchezza. Abramo incarna così la qualità del nomade sulla scena della storia, ma in tale suo modo di affidarsi e lasciarsi plasmare dalla dinamica del campo, egli compie un errore di giudizio, crede e non crede nella sua possibilità di paternità e quindi d’accordo con la moglie Sarai va con la schiava Agar che gli darà Ismaele.


Si apre così sin dalle origini una frattura tra legittimo e illegittimo, allorquando per salvaguardare lo stato di potere di Isacco, egli è costretto a ripudiare il primogenito. Nella storia dei due fratelli che incarnano la dualità ebraico-islamica, si intrecciano le attribuzioni di valore che creano le sacche-nicchie di superiorità/inferiorità tra gli individui. Ma se si prova a spostare l’attenzione da un uomo ad una nuvola che alta si mostra nel cielo, si può continuare a parlare di legittimo/illegittimo? Quale il parametro di base da cui nasce il valore positivo o negativo? Quale il confine che fa invertire il significato?


Se guardo al sereno, la nuvola è illegittima; se guardo alla pioggia essa è decisamente legittimata ed è la benvenuta. Allora non è in funzione di sé che la nuvola si pone come opportuna/inopportuna, ma in relazione al punto di vista e alla scala di valore con cui si legge la sua posizione. Tornando ad Abramo egli fa una scelta, intorno ai due figli, e costruisce una gerarchia di valore che lo porta a creare la supremazia di Isacco, giustificandola perché legittimo; tanto che Dio riscatterà Ismaele, promettendogli una discendenza numerosa, tanto quanto quella di Isacco. Poi nel tempo, il Profeta Maometto, partendo da tale eco-informativo, riorganizzerà il mondo arabo, dandogli la dignità di Nazione.


Dal racconto si evince come i dualismi di significato, grande/piccolo, bello/brutto, utile/inutile… siano fortemente vincolati ai punti di vista dell’osservatore, nel nostro caso Abramo. L’occhio lettore padre, influenza la vita di Ismaele, dandogli l’attributo di illegittimo, mentre in precedenza, egli stesso, lo aveva chiamato figlio; in questo consiste l’ambiguità di Abramo: nell’aver fatto un salto di scala di valore tra un prima positivo e un dopo negativo.


Egli in funzione di una scelta topica di opportunità, ha perso di vista la visione più allargata di paternità. Cambiando il suo giudizio ha creato l’ingiustizia. Ciò che prima veniva percepito come naturale, processo di inclusione, poi, diviene innaturale, processo di esclusione. In tale modellamento del significato si esprime l’errore cognitivo di Abramo.


La facoltà della mente umana a costruire scale di significato, rientra nella capacità di lettura della realtà, che resta sempre un oltre il piano d’osservazione, essendoci uno scarto spazio-temporale che non si presta ad essere colmato, dato che la dinamica storica è a tempo discreto. La realtà non ha una valore in sé, la nuvola o Ismaele, se non quello di occupare uno spazio-tempo, che ne delimita la sua permanenza bio-fisico-informativa. Il valore che pone i dualismi, nasce da parte della mente dell’osservatore, che nell’appropriarsi della realtà, costruisce i poli di interesse positivo/negativo, attribuendo di volta, in volta una quantità/qualità, in funzione di una visione di passato/futuro che egli sta elaborando…




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venerdì 2 gennaio 2009

Verso un’interpretazione cognitiva dell’etica.


di Alessandro Bertirotti


Verso un’interpretazione cognitiva dell’etica. Considerazioni vitali e globali (già pubblicato, nel 2008, su "Mente & Società", Università Bocconi Editore).


Il comportamento etico dell’umanità dipende dal comportamento sociale delle popolazioni di neuroni. Nel nostro cervello sono scritti i progetti etici dell’intera umanità ed è necessario comprenderli, per meglio assecondare la natura etica dell’uomo.


Le funzioni cerebrali si originano dall’attività del sistema nervoso centrale (SNC). La corteccia cerebrale è la sede delle facoltà più evolute della nostra specie. L’elemento di partenza delle funzioni cerebrali è il neurone, il quale è sottoposto ad imput eccitatori ed inibitori da parte di altri neuroni, affinché i messaggi da trasmettere mantengano sempre una discreta dose di equilibrio generale.


I neuroni organizzano la loro attività all’interno di una popolazione di neuroni. Ogni neurone riceve e invia impulsi a seconda delle sue connessioni all’interno della popolazione, e quando la densità di queste connessioni supera una precisa soglia i neuroni cominciano ad interagire spontaneamente tra di loro (è questo il caso in cui si parla di popolazioni di neuroni). La soglia che determina il passaggio di stato dipende dal rapporto fra impulsi inviati e ricevuti. In altre parole, se i messaggi che una popolazione di neuroni riceve sono circa 10 e quelli che invia ad altre popolazioni sono altrettanti, quella popolazione neuronale agisce autonomamente, ossia senza ulteriori impulsi esterni a se stessa. La popolazione di neuroni in questione si trova in uno stato di equilibrio. Questa situazione (attività di fondo) prende il nome di attrattore puntiforme, ed è lo stato verso cui la popolazione di neuroni tende a tornare dopo una perturbazione (Freeman W.J., 1999). In altre parole, i singoli neuroni formano entità macroscopiche, all’interno delle quali ogni elemento è per lo più autonomo, ma costantemente coinvolto nell’attività macroscopica che tende a perseguire uno stato costante di equilibrio fra imput ricevuti ed output inviati.


L’attività cerebrale è data dalle variazioni di stato degli attrattori puntiformi, i quali determinano i processi cognitivi, per mezzo degli attrattori a ciclo limite (Freeman W.J., ibidem). Questi ultimi corrispondono alle situazioni in cui gli attrattori puntiformi vengono ignorati (sono cioè in stato di apparente silenzio) e si verifica un apprendimento. Quando il rapporto fra lo stato di partenza (attrattore puntiforme) e lo stato di attività (attrattori a ciclo limite) supera una determinata soglia, il sistema non può più tornare indietro, ed è costretto a trovare un nuovo valore di stabilità. Sempre in riferimento all’esempio precedente, se i messaggi che riceve sono 20 rispetto a quelli che trasmette che rimangono 10, quella popolazione di neuroni deve adattarsi ad un nuovo equilibrio cercando di trasmettere all’esterno ancora 10 messaggi in più. In questo caso, con l’aggiunta iniziale e finale di 20 messaggi totali (10 in entrata e 10 in uscita per adattarsi) si verifica un apprendimento, ossia una conoscenza nuova.


Il risultato è la formazione di una configurazione spaziale di modulazione di ampiezza o configurazione di AM (Freeman W.J., idem). Tutti i neuroni, in qualsiasi zona della corteccia, partecipano alla formazione delle configurazioni di AM, e sono queste che variano con l’apprendimento. La caratteristica fondamentale delle configurazioni di AM è che variano nel tempo, perché sono determinate dalla variabilità riscontrata nell’attività neuronale. Si tratta di una variabilità delle configurazioni di AM che le rende uniche e particolari per ogni singolo individuo, perché sono determinate da ogni singola variazione sinaptici (la sinapsi è il luogo dove i collegamenti neuronali si verificano), e quindi risultano legate all’esperienza personale di ogni individuo. In sostanza siamo in presenza di una attività sociale neurologica, di un vero e proprio processo di generalizzazione a livello sinaptico. L’importanza di queste configurazioni è che esse sono alla base della costruzione del significato. La creazione delle configurazioni di AM non nasce direttamente dal mondo esterno, poiché il cervello utilizza precedenti elementi per costruire i significati. Il cervello non riceve trascrizioni dirette del mondo che lo circonda, ma ne crea al suo interno un’immagine che dipende dalla sua storia personale.


Ci stiamo avvicinando al nocciolo del problema, ossia alla costruzione neurocognitiva di significati etici, partendo proprio dalla comprensione del come si originano quelle azioni che permettono all’individuo di relazionarsi col mondo.


La costruzione di un significato etico avviene attraverso la formazione dell’intenzionalità. Essa è un processo che permette agli uomini (e ad altri animali) di agire in relazione ad un obiettivo futuro. Le azioni che caratterizzano la nostra vita quotidiana emergono lungo una sequenza che si può suddividere in tre stadi. Ad un primo stadio, emergono nel cervello gli obiettivi verso cui indirizzare le azioni. Nel secondo stadio, si agisce e si costruiscono significati dopo aver ricevuto a livello sensoriale le conseguenze delle proprie azioni. Infine, nel terzo stadio l’apprendimento modifica topologicamente le configurazioni delle reti neuronali del cervello. L’insieme di questi tre stadi è accompagnato da svariati processi dinamici che preparano il corpo all’azione, e ciò che si percepisce della preparazione ad essa sono le emozioni. Tutti i comportamenti intenzionali sono emotivi, e nascono dall’auto-organizzazione dell’attività neurale, grazie all’azione del sistema limbico, nel quale si evidenziano configurazioni di AM emotivamente rilevanti.


Ogni essere umano si rende conto dei propri significati per mezzo di consapevolezza e coscienza. La consapevolezza è un’esperienza elaborata neurologicamente che si produce nel nostro cervello. La coscienza è quel processo che permette alla successione degli stati di consapevolezza di avere significato per l’individuo.


Come sono collegate esperienza e coscienza nel cervello e dunque nei processi mentali? Con l’invenzione della causalità, grazie alla quale il cervello pone il relazione un precedente (causa) con un conseguente (effetto). Si tratta di una spiegazione ottenuta o elaborata o individuata in termini statistici, perché si cerca di capire quante possibilità vi sono che un’azione determini un particolare risultato.


L’esperienza soggettiva, quella riferibile alle azioni consapevoli, è vissuta come una catena di causalità lineare. La nostra intenzione ad agire è la causa di quello che si verificherà. In questo modo gli individui si spiegano le dinamiche delle interazioni sociali, anche in riferimento alle condotte eticamente rilevanti. Le nostre scelte etiche dipendono dunque da quanto il cervello modificherà le proprie configurazioni di AM, affinché si possano ipotizzare azioni probabili in grado di ottenere un equilibrio cognitivo fra la sicurezza di rimanere in vita ed il desiderio di libertà. La soluzione fra questi due antipodi culturali è la ricerca del più giusto nel momento migliore, in grado di equilibrare le configurazioni perturbate di nuovi dati raccolti. In questo modo il comportamento etico umano si presenta come il risultato di un calcolo probabilistico che va dal particolare al generale, utilizzando un percorso cognitivo che lega la necessità di mantenersi in vita come singolo e mantenersi utile come cultura. Così si formano anche i significati personali e culturali, durante la più importante attività cognitiva, quella adattativa.


È dunque l’azione che origina il pensiero, ossia la conoscenza, proprio perché la conoscenza stessa è di tipo evoluzionistico, ossia, popperianamente parlando, esercita e costituisce un controllo costante delle elaborazioni mentali in un ambiente.


Queste premesse, collocate all’interno di una visione antropologica, pongono la questione dell’arte del vivere (il più giusto nel momento migliore per l’adattamento), come il fondamento dell’etica e dunque di un ben-essere generalizzato legato alla qualità della vita. La domanda cruciale diventa dunque: Quale scopo comune è giudicato un bene da perseguire? Ecco perché la questione etica oggi è diventata una questione cognitiva e deve essere interpretata facendo riferimento alla funzionalità cerebrale, piuttosto che solo alle visioni filosofiche tradizionali.


Di fronte a tutto ciò che ci circonda, il nostro cervello opera continue attribuzioni di senso, grazie alle quali si spiegano cause e motivi di ciò che ci accade. Come abbiamo detto, la causalità, che è una configurazione di AM presente nel cervello (piuttosto che negli eventi), si manifesta con l’espressione contemporanea di due flussi di attività: quella del neurone che influisce sulla popolazione di appartenenza, e quella della popolazione sul singolo neurone, esattamente come accade nella società, dove il singolo influisce sul globale e questo sul singolo.


Il vincolo micro-macro limita la libertà degli elementi impedendo che l’attività del singolo determini azioni indipendentemente dall’intervento degli altri. Il ruolo della consapevolezza è quello di agire come un veicolo per raggiungere l’ordine globale, integrando fra loro le attività che derivano dai vari componenti. La coscienza si inserisce in questo meccanismo con la funzione di creare una sequenza di stati globali e vitali di consapevolezza.


È dunque la coscienza che indirizza l’attività caotica verso un ordine globale, favorendo l’assimilazione dei dati provenienti dal mondo, attraverso l’uso della ragione, da intendersi come configurazioni di AM continue.


L’allontanamento delle configurazioni di attività locali, rispetto al parametro di ordine globale (ossia il distacco di una popolazione di neuroni dall’integrazione con le restanti popolazioni di neuroni), determina le azioni che noi interpretiamo come sconsiderate, sbadate o inconsce. Allo stesso modo accade quando un gruppo sociale di individui, nella sua cognizione del mondo (si pensi a coloro che esercitano violenza negli stadi di calcio), si distacca dalle cognizioni globali (quelle legate ai valori pacifici presenti nello sport) nelle quali il gruppo è comunque immerso. Il compito della coscienza quindi, non è quello di dirigere o governare la ragione, ma quello di uniformare le fluttuazioni caotiche verso un unico parametro globale.


L’ordine globale permette un’assimilazione nei confronti del mondo, e quelli che l’individuo elabora rispetto ad esso sono gli obiettivi e le motivazioni. Le nostre azioni sono viste dagli altri, ma anche da noi stessi, come un mezzo per raggiungere uno scopo, o come l’espressione dei significati personali. La coscienza permette all’organismo di percepire il mondo ed agire in modo razionale al suo interno. In altre parole, il sistema nervoso crea una configurazione di attività che permette la rappresentazione del mondo e l’azione che ne consegue, ed il significato emerge dalle AM. Ogni apprendimento modifica questa situazione, la quale sorge dal mondo in termini di consapevolezza e coscienza, creando una naturale propensione per il verosimilmente giusto e migliore per l’adattamento del singolo e del gruppo, che definiamo in ottica culturale globale etica.


In ottica neurocognitiva, l’etica è il risultato finale di atteggiamenti mentali condivisi. Gli esseri umani, in qualsiasi luogo e spazio, sviluppano atteggiamenti. L’esistenza umana, come abbiamo appena affermato, è caratterizzata dall’azione, intesa come esecuzione di compiti e loro progettazione (Rizzolatti G., Senigaglia C., 2006). La capacità di agire sviluppa negli esseri umani la consapevolezza di ciò che si è fatto ed induce alla formazione di un atteggiamento mentale che definiremo di progettualità (Tomasello M., 2005). Questa abilità, ossia la capacità di essere consapevoli della situazione nella quale ci si trova per individuare gli obiettivi verso i quali rivolgersi (estensione culturale delle potenzialità dei mirror neurons), è fondamentale per lo sviluppo di qualsiasi cultura ed è alla base dell’etica del terzo millennio, che definiremo etica vitale e globale. Ecco perché in questa sede gli atteggiamenti sono considerati veri e propri operazioni mentali, che si esprimono, in prima istanza, sotto forma di immagini mentali.


Tutte le rappresentazioni create nella mente modificano le configurazioni neuronali, e vengono a loro volta modificate da esse. Questo tipo di legame si esprime nella soggettività della percezione individuale. Come già detto, ogni configurazione si instaura sulla precedente, e, a sua volta, funziona come base per la successiva. La conseguenza è che ogni cervello produce configurazioni diverse ed irripetibili in altri individui, in quanto legate al proprio e personale rapporto con l’ambiente. Risulta evidente che l’ambiente non è portatore di significati, ma di stimoli che l’individuo inserisce all’interno del proprio vissuto. L’individuo non vede il mondo così com’è, ma come il cervello lo rappresenta, ed il significato deriva dall’interazione di questa visione con l’esperienza personale. Ogni essere vivente vive circondato dai propri bisogni e dalla spinta a soddisfarli, ma la presenza degli altri nel mondo induce a vincolare la sopravvivenza alla possibilità di fuggire dai predatori, di vincere la competizione per il cibo e la riproduzione in solidarietà. E’ quindi necessario stabilire un contatto con gli altri individui, e per questo occorre la capacità di comunicare ciò che il cervello produce, secondo un progetto eticamente rilevante, perché naturalmente vincolante.



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