Cenacolo della Conoscenza: Perché Paolo?
(da Antonia Colamonico. Costellazioni di significati per una topologia del pensiero complesso. Bari 2007)
Paolo di Tarso rappresenta lo stato di chi scopre una nuova linea evolutiva della verità, ma si scontra con la stupidità del mondo, che lo pone a margine da sé. Nella sua esperienza di vita, Saulo misura concretamente la cecità. Egli divenuto cieco, sperimenta fisicamente il significato delle tenebre. Le tenebre che rendono buia la scena della Storia.
Egli è un quasi privilegiato nell’essere un greco che ha in sé il valore politico della polis; un ebreo che ha in sé il valore religioso della appartenenza a Dio; un romano che crede nel valore dell’universalità della storia. Egli incarna le leggi dello Stato e di Dio.
Uomo timorato che in virtù del suo credo, perseguita la famiglia dei cristiani che portano il disordine nel mondo. Ma sulla ragionevolezza di questo uomo giusto, interviene l’azione miracolosa del Dio dell’impossibile.
Paolo rappresenta l’incontro del Caino e dell’Abele che è in ogni uomo: l’incontro tra la logica razionale e quella emotiva che risiedono nei due emisferi della mente.
In lui, con l’azione dell’infinito, si mette in moto la dialogica mente-cuore che fa del timorato, un coraggioso. Acquisisce, così, un equilibrio e una tale chiarezza nel giudizio da essere posto al fianco di Pietro, nelle dispute giuridiche dei primi cristiani sulle abitudini comportamentali.
La ricchezza del testamento gnoseologico di Paolo, a noi pervenuta, è una fonte di continua messa in discussione dell’ovvietà, dello scontato, del dato certo, del sentito dire. Nel suo insegnamento egli pone un nuovo modo di guardare che parte da una più ampia visione di democrazia.
La democrazia, come governo del popolo che nella cultura greca indicava lo status di uomo libero, non è, per lui, un modo di esercitare lo status di cittadino, limitato alle genti romane; bensì un modo per tutta quanta l’umanità. La vera democrazia non può dirsi tale se è circoscritta ad un solo luogo, come un dentro le mura di una cerchia di privilegiati. Essa ha bisogno di viaggiare e di valicare i confini del centro, per farsi periferia.
La sua visone giuridica greco-romano, sulla via di Damasco, si arricchisce di una componente nuova, profonda e piena di significato, che fa della libertà non un semplice status giuridico, ma il modo di essere della mente-cuore. Scopre, in quelle ore di buio, la libertà della coscienza, come l’abito mentale a cui ogni uomo-cittadino dovrà tendere, perché porta a sentirsi liberi rispetto al sé, al mondo, a Dio.
In lui si attua il passaggio dal piano razionale che pone l’essere libero, al piano emotivo che pone il sentirsi libero. Egli, lavorando sulla sfumatura di significato costruisce l’anello di congiunzione tra il piano politico e quello etico, gettando le basi dell’idea moderna di democrazia.
La stessa periferia per lui assume tre significati, la periferia della Terra che ingloba in sé tutte le genti di tutti i tempi-spazi; la periferia della ragione che riassume tutte le idee dalle più complesse alle più semplici; la periferia del cuore, come tutti gli stati d’animo. Ogni uomo, ogni idea, emozione, intenzione, azione dovranno essere liberi. Dovranno essere il risultato di una libertà di scelta che fa assumere la personale posizione storica di fronte alla vita.
È nella scelta che si esprime il giudizio. Questo spiega il suo grande entusiasmo che lo porterà a scrivere le lettere sulla scoperta del nuovo grado di profondità che permette di trasformare il siete liberi, come un fatto esteriore, in siate liberi come una dimensione interiore. Il siete è un costruito, un dato di fatto che una volta posto lo è per sempre; il siate è una possibilità che si pone come un costruendo, un dato di divenire che di volta in volta va riproposto, dipanato, rigenerato.
Non esiste una libertà definitiva che vale per sempre, ma tante libertà per i tanti momenti della vita. Non esiste una democrazia che è assoluta, ma tanti gradi differenti di democrazie; così facendo egli introduce una libertà e una democrazia che si misurano continuamente con i lacci della tirannia e dell’ipocrisia. Come il gioco di un gatto che si morde la coda, tirannia e libertà si inseguono a tondo.
La topologia dell’interiorità/esteriorità della libertà è la grande scoperta che egli mette a disposizione di tutte le genti, di tutti i futuri storici. In ciò è la sua modernità.
Le sue genti non rappresentano la massa come la perdita dell’identità soggettiva, si pensi alla massa di pane in cui la farina, l’acqua, il sale e il lievito, smettono di essere tali. Le sue genti sono tante unità di mente/cuore, che esercitando la libertà di giudizio, si ritrovano legati in comunione nella figliolanza a Dio che è padre di tutti e nella fratellanza di tutti, perché figli dell’unico Dio. È ancora quel concetto di nodo/rete che ritorna. In lui le periferie, come le varie derive del mondo e dell’io, si fanno centro del mondo e dell’io. In tale dialogica di centro/periferia si estrinseca la capacità di saper essere l’uno/tutto della Storia.
Ma, avverte continuamente, una volta conquistata la libertà, siate vigili, poiché è soggetta all’erosione del tempo. Di nuovo l’entropia del nichilismo che ritorna, che fa di una libertà, una schiavitù, una comodità che non nasce dalla scelta, ma dall’economia di spesa che è forma subdola di egoismo. È l’economia di spesa cognitiva, che introducendo le generalizzazioni, impedisce di ascoltare, di guardare, di gustare, di immedesimarsi in ciò che è posto di fronte.
La posizione di lettura della coscienza è uno stare a guardare, come un occhio Egli, i movimenti e i bisogni dell’io, del mondo, di Dio che chiedono di essere conosciuti, amati in tutti i momenti nuovi di ogni vita. Si pensi ad una mamma che guarda il suo neonato, ne spia i vagiti, per comprendere se ha fame o se sta solamente vocalizzando.
Paolo, in questo valicare le mura fisiche della città e invisibili della mente-cuore, che lo porterà a Roma, per informarla dell’importanza della nuova visione di futuro, riconosce la pari dignità a tutta quanta l’Umanità, in nome, non dell’appartenenza ad una gente, ma della figliolanza in Dio che rende tutti fratelli. Di qui la sua missione di divulgatore della democrazia, che gli farà sostenere l’illegittimità delle schiavitù giuridiche, economiche, intellettuali, morali, religiose.
Nel primo libro di biostoria [Colamonico, A. 1998] ebbi modo di sottolineare come il processo storico è un processo di democratizzazione dello Spazio-Tempo che permette di dare il luogo alle diverse forme della vita. Tale processo di naturalizzazione che fa assumere ad esempio al vapore la dimensione di nuvola; alla gemma quella di frutto; al bambino quella di uomo, impone nelle tre forme di vita, una scelta di significato.
La nuvola, il frutto, l’uomo per assumere l’identità storica, che permette loro di occupare uno spazio e consumare un tempo, dovranno emanciparsi dai campi-nicchie che li hanno posti, per essere se stessi. Essere se stessi è l’essenza della vita a livello cosmico.
La democrazia è il processo di emancipazione che procede dal passato al futuro. Emancipazione che consiste nella presa d’informazione intorno al sé e intorno al campo-nicchia di sé. La presa d’informazione si chiama processo di conoscenza. Alla base del processo di conoscenza c’è un quanto storico, come l’impronta informativa di Dio che dà il là alla dinamica evolutiva.
Il processo informativo è dunque cosmico: la nuvola dovrà apprendere ad essere nuvola; il frutto, frutto; l’uomo, uomo. Ogni elemento del Cosmo ha una linea evolutiva, quale memoria di un processo informativo che lo pone nello stato dell’imparare ad essere, a non aver paura di essere, a non permettere di non essere. Tale processo si attualizza in tutti i tempi 0: il tempo di Dio.
Il tempo 0 della storia ha un procedere inevitabile verso il futuro, in tale andare egli si divide e si moltiplica in una infinità di tempi 0 che danno luogo ad una infinità di spazi, nuovi. Tale andamento del divenire, non è scontato, non è determinista, in quanto nell’organizzarsi della realtà, i sistemi storici si perturbano vicendevolmente, come un toccarsi, un informarsi l’un l’altro del proprio esserci nel mondo: ci sono, esisto, eccomi. Come quando il feto inizia a muoversi nel grembo materno, dando alla madre la sensazione dell’indipendenza, nella dipendenza del suo corpo.
Dall’informarsi si generano gli stati di Caos. Il disordine come constatazione del limite del proprio luogo, dell’essere insieme nella Storia. Il disordine fa paura a chi non sa gestirlo. Dalla gestione del disordine nasce il nuovo grado, più complesso, di ordine che amplifica la democrazia della Vita. Il non saperlo gestire, fa nascere la voglia a fermare la vita.
La dittatura si implementa ogni qual volta in un sistema storico individuale e sociale, nasce la paura del futuro. Non esiste la dittatura in assoluto e la democrazia in assoluto. Esistono tante dialogiche dittatura-democrazia che vicendevolmente si intrecciano in funzione degli stati di chiarezza dell’io e del mondo. Gli stati di ambiguità/chiarezza, rendono la storia un equilibrio instabile tra l’ordine e il disordine. In una visione cinetica, a campo allargato, la dinamica ha un andamento fluttuante, che pone l’apparire e lo sparire delle forme di libertà.
Su tale dialogica del divenire e del riproporsi continuo della dittatura/democrazia, interviene l’uomo di Tarso, che svela agli ebrei e ai pagani che sono dentro ogni uomo, le nicchie di tirannia e le sacche di democrazia, annidate nelle logiche delle coscienze e degli Stati. Egli si fa apostolo della speranza di Democrazia Universale, vista come una triade, città/fuori città, coscienza/fuori coscienza, cosmo/fuori cosmo; che tende alla perfezione di Dio, Infinito Amore. Da ciò nasce il suo Canto alla Vita. Vita che non è scontata, che non si scandalizza dell’imprevisto e non condanna il diverso, non si rallegra della sfortuna del fratello, non si compiace della bellezza del suo stato nel mondo, non si lascia imbrigliare dalle consuetudini delle ipocrisie del mondo e dell’io.
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